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L’elaborazione del lutto<br/> 

Il dolore della morte

Il pensiero della morte, e la preoccupazione di vivere sfuggendo alla morte, occupa più di un qualsiasi altro tema la mente dell’uomo. L’uomo è un animale dotato di istinti e ha la stessa istintiva coscienza della morte che è propria delle forme inferiori di vita, segue lo stesso prevedibile schema di vita istintuale di tutte le cose viventi: nasce, cresce, giunge alla maturità, si riproduce, poi perde la sua forza vitale e muore. La morte è un fatto biologico che mette fine a una vita. Nessun altro evento vitale suscita nell’individuo pensieri più pervasi di emotività e, in quelli che vivono accanto, reazioni più puramente emotive.

La morte di qualcuno che ci è caro può scatenare moltissime emozioni, alcune prevedibili altre inaspettate. Tali emozioni vanno dalla tristezza può profonda a un senso di sollievo se la vita che si è appena conclusa era stata piena di dolore e sofferenza e, quindi, la persona non soffrirà più. Molte persone non amano palesare i propri sentimenti in presenza di altri e provano un forte disagio se qualcuno li sorprende a mostrare segni di grande emozione. In quanto essere umani, potete lasciarvi andare a sensazioni di dolore e di pena. Sentirsi rattristati per la morte di una persona non è indice di debolezza, ma è prova di generosità e sensibilità. In molti casi, soprattutto se la morte è stata improvvisa e inaspettata, la prima reazione è di incredulità, perfino di rifiuto. La mente non riesce ad accettare il fatto che una persona amata non ci sia più. Superata l’incredulità iniziale e resi conto di ciò che è accaduto, si devono affrontare tutta una serie di fasi emotive prima di riuscire ad accettare la realtà. Il succedersi delle emozioni causate da un lutto è generalmente il seguente: Incredulità o rifiuto; Dolore; Rabbia; Senso di colpa; Accettazione e pace.

E’ importante capire quale emozione si sta provando, per il proprio benessere futuro.

Il dolore è l’emozione principale, che si differenzia per intensità e durata. Alcuni riescono a dare libero sfogo al proprio dolore molto meglio di altri, e non è assolutamente una brutta cosa. Non c’è nulla di male a farsi consolare dagli amici e dalla famiglia nei momenti di sconforto. Se poi si hanno dei figli, è importante mostrare anche questo lato di se stessi, sebbene il primo impulso sia quello di evitare loro la sofferenza. Affinchè i bambini abbiano una crescita emotiva equilibrata è necessario che si rendano conto che gli adulti sono esseri umani. Piangiamo quando ci facciamo male, possiamo essere irrazionali e perdere la calma, possiamo ridere e sentirci felici oppure essere anche terribilmente stupidi. Tutte queste emozioni fanno parte della vita e i nostri bambini hanno bisogno di vedere che le proviamo e le condividiamo con loro. Il dolore, quando non viene accettato e provato fino in fondo, può rivelarsi deleterio sia per il corpo per la mente. Spesso abbiamo sentito parlare di casi in cui qualcuno è morto di “crepacuore” subito dopo la morte della persona amata. In realtà, ciò può verificarsi quando lo stress -causato dal voler nascondere al resto del mondo il dolore- diventa così forte da compromettere negativamente la pressione sanguigna, il cuore e la volontà di vivere di chi è rimasto in vita. Il dolore di un lutto non può scomparire del tutto, può sicuramente cambiare e diventare più sopportabile. Ma prima di riuscire a superarlo bisogna concedersi il tempo di soffrire. Del dolore fanno parte anche la rabbia, il senso di colpa o di rimpianto. Possiamo arrabbiarci verso la persona morta, amici, familiari o per il sole che splende e gli uccellini che cantano. Il senso di rimpianto per la relazione lasciata in sospeso. “Se gli avessi detto”, “Se avessi fatto”, “Se non avessimo litigato”, “Se fossi andato a trovarlo”. Tutti sé che aggiungono sconforto al senso di colpa della persona rimasta. La vita non è fatta di comportamenti ordinati e perfetti. Non tutto ha uno svolgimento prevedibile e non sempre possiamo prevedere un’azione o una conseguenza. Niente come la morte di una persona cara può farci sentire così terribilmente consapevoli del nostro essere mortali. Finché non capita di venire a stretto contatto con la morte, essa sembra essere qualcosa che succede solo agli altri e solo quando sono molto vecchi. Tale paura, è salutare se vissuta in minime proporzioni. Al contrario può sfociare in una condizione patologica di forte depressione, disturbi d’ansia, attacco di panico, somatizzazioni e altro. Tutti moriremo: questa è la sola certezza. Possiamo però scegliere noi cosa fare nel frattempo. Possiamo vivere in uno stato di continua apprensione, oppure vivere ogni giorno della nostra vita nel migliore dei modi.

Nel periodo successivo al lutto, la vita di chi resta deve andare avanti, ma a volte non si sa come. La prima cosa è quella di prendersi cura di se stessi. Non si può eliminare lo stress insito di questa situazione ma si possono evitare gli effetti negativi su di noi. Trovare il giusto tempo e la propria strategia di riacquisire piano piano sonno, di ritornare a seguire la propria routine personale. Ritornare lentamente a vivere nel presente, il proprio, anche dedicandosi del tempo. Non c’è nulla di male nel farlo, anzi, anomale sarebbe il contrario. Non sarebbe positivo cercare a tutti i costi di pensare ad altro e coprire e nascondere il dolore che si prova. Stabilite del tempo per i ricordi, fatelo scegliendo quelli positivi, ricordando i lati migliori e i bei momenti trascorsi insieme. All’inizio forse piangerete si, ma alla fine i bei ricordi avranno il sopravvento. Se c’è qualcosa che vorreste aver detto o non detto, fatto o non fatto, scrivete. Aprite il vostro cuore. Rileggetela e poi lasciatela andare. Accettate la realtà appena vi sentite pronti e avrete le capacità per stabilire un equilibrio tra il passato ed il futuro. Se sentite la necessità di parlare della persona scomparsa fatelo. Lasciatevi aiutare da amici o parenti o da un esperto, in grado di ascoltarvi e comprendervi, accompagnarvi con empatia verso l’elaborazione di tutte le proprie emozioni, lasciando andare la sensazione di onnipotenza del “ce la faccio da solo”. Lasciarsi aiutare a trasformare ciò che è un vincolo doloroso in un’opportunità di crescita e maturazione emotiva e personale.

Con affetto vi saluto e vi lascio con una poesia tratta da un sermone che Hanry Scott Holland ha tenuto nella domenica di Pentecoste del 1910:

La morte non è nulla.

Sono solo scivolato nella stanza accanto.

Io sono io e tu sei tu.

Quello che eravamo l’uno per l’altro, lo siamo ancora.

Chiamami col mio solito nome.

Parlami nel modo in cui eri solita parlarmi.

Non cambiare il tono della tua voce.

Non assumere espressioni forzate di solennità o di dispiacere.

Ridi come eravamo soliti ridere

Dei piccoli scherzi che ci divertivano.

Gioca… sorridi… pensami… prega per me.

Lascia che il mio nome sia la parola familiare che è sempre stata.

Lascia che venga pronunciato con naturalezza, senza che in esso vi sia lo spettro di un’ombra.

La vita ha il significato che ha sempre avuto.

E’ la stessa di prima.

Esiste una continuità mai spezzata.

Che cos’è la morte se non un incidente insignificante?

Dovrei essere dimenticato solo perché non mi si vede?

Sto solo aspettandoti, è un intervallo.

Da qualche parte molto vicino, proprio girato l’angolo.

Va tutto bene.

DOTT.SSA DOMINIQUE D’AMBROSI

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